domenica 5 febbraio 2012

Raccontino ironico #1

L'ho scritto qualche mese fa, ne ho scritti tanti. Forse li pubblicherò qui, beh vediamo.


 Attendevo ansiosamente l'arrivo di qualche incauto malcapitato.
Pareva uno dei tanti pomeriggi infiniti, me ne stavo seduto comodo dietro l'altare pronto a scattare sull'attenti nel momento fatidico in cui il triportico si sarebbe spalancato.
Sfogliando svogliatamente la Bibbia (solo per farmi trovare pronto come figura di persona estremamente devota) sospiravo e guardavo di tanto in tanto il bell'orologio Rolex.
Provai a fantasticare su chi sarebbe potuto entrare quel giorno, se un giovane riccioliuto dall'aspetto simile ai Geni dipinti ad affresco sul soffitto della chiesa o se un docile bambino pronto a diventare un chirichetto.
O se addirittura una graziosa fanciulla inviolabile.
Dovetti aspettare ancora un'ora, quando finalmente arrivò l'atteso momento. Il portone cigolò e si aprì ed entrò un giovane succulento che non dimostrava più di diciotto anni. Appena mise piede nel mio territorio mi alzai dalla mia postazione e mossi alcuni passi verso di lui.
Aveva un viso bello e giovane, perfetto nel suo candore ma rovinato da un'espressione colma di dolore.
-Benvenuto, figliolo, nella casa di Dio.
Dissi io spalancando le braccia ed avvicinandomi ancor di più.
Oh sì, pregustavo già un pasto delizioso, anche se solitamente li preferivo più giovani e impauriti.
-Padre..
Sussurrò lui, con il viso quasi in lacrime. Cinsi subito con un braccio le sue spalle esili, approfittando dell'apparente stato di shock della mia vittima.
-Raccontami tutto, non temere, Dio ti ascolterà attraverso me.
Questo annuì leggermente, non troppo convinto, i ciuffi biondi che ricadevano sulla fronte.
Ero estremamente curioso di sapere che peccati tanto gravi avesse commesso questo ragazzo per essere così sconvolto.
Ormai mi ero abituato agli ipocriti che arrivavano da me per ammettere i peccati minori, diffidenti dell'estrema segretezza tra prete e fedele. Quando espiavo le loro colpe, nonostante fossero le minori, se ne andavano via tutti sollevati credendo di essere stati purificati anche dalle azioni più malvagie.
Questo se non ricevevano il mio trattamento speciale, chiaro. Esso era destinato soltanto a credenti di giovane età, l'età giusta per attaccare. Per qualche strana ragione, dopo essere stati toccati da me, non avevano il coraggio di rivelare in giro ciò che realmente gli era successo. I bambini tornavano dai genitori con il viso sconvolto e rigido, spesso rimuovevano l'accaduto o fingevano di rimuoverlo. Sui bambini colpivo più volte perché erano particolarmente innocui, ma i ragazzi non erano così inermi. Ciò che succedeva a loro rimaneva bene impresso nella mente, io lo sapevo, tuttavia anche a loro mancava la forza morale di dire in giro la verità.
Non mi fui mai posto il problema del tipo, faccio ciò che è giusto. Poiché se c'era una cosa che mi rendeva perversamente felice, era seguire i miei istinti. D'altronde, non vedevo cosa ci fosse di male in un povero parroco nello sfogare le proprie frustrazioni sessuali, avevo anche io i miei diritti.
Ma questo ragazzo, questo che si sedette davanti a me con il viso che era una maschera di disperazione, aveva un qualcosa di strano. E, prima di agire e seguire la strategia, ero veramente curioso di sapere che avesse da raccontare di così terribile.
Rimase in silenzio per un lungo minuto, come se stesse riflettendo sulle parole giuste da dire, poi si decise a cominciare la confessione:
-Padre, io.. ho molto peccato.
Ancora silenzio, voleva che lo incalzassi a parlare.
Così feci.
-Di cosa si tratta, figliolo?
-Io, ho seguito la via della perdizione a lungo, diversi anni.
Annuii visibilmente interessato, mentre la giovane preda teneva gli occhi distanti dai miei, come se avesse paura di trovarci riflesse le sue colpe che aggravavano il suo cuore pesante.
-Ero così annoiato, così annoiato, padre.. tutto mi disgustava. Volevo soltanto divertirmi, seguendo i miei istinti.
Rabbrividii al termine da lui usato, ma cercai di mantenere lo sguardo sempre della stessa espressione misericordiosa.
-Ho imbrogliato le persone, le ho prese in giro illudendole e sfruttandole per i miei scopi.
-Quali scopi?
-Ogni cosa che desideravo, signore. Quindi innanzitutto i soldi.
Si portò le mani alle tempie, fissando il pavimento in marmo nero.
-Rubavo con l'inganno, dicevo cose non vere per accrescere il mio portafogli. Escogitavo congetture e strategie sfruttando la mia dote di manipolatore per arricchirmi, solo questo mi importava, arricchirmi, e se le persone mi credevano e si fidavano veramente di me, vivevano nell'illusione.
Annuì ancora ma mi resi conto di non essere più in grado di apparire lo stesso parroco misericordioso e dal cuore grande di prima. Una leggera, meschina, goccia di sudore scivolò dolcemente per il mio collo.
Il ragazzo, nel frattempo, si portò le mani nella chioma bionda con un gesto di esasperazione.
-Non solo facevo credere alle persone cose non vere per arricchirmi, oltre che essere un ladro mi sono macchiato di avidità, non riuscivo mai ad accontentarmi. Avevo la presunzione di volere di più, di più, sempre più egemonia.
Un'altra goccia di sudore scese per l'ormai bagnato collo.
-Figliolo..
Boffonchiai mentre facevo per poggiargli i palmi sulle spalle. Dovevo troncare le parole e passare ai fatti. Ma mi interruppe in quel lamento stremato e sconvolto di dolore.
-Ma la cosa peggiore, la cosa peggiore, padre, è che ho violentato delle ragazze. Rifilando a loro (appunto con l'inganno) delle droghe, illudendole e proiettandole in una dimensione in cui non riuscivano a capire ciò che succedeva. L'ho fatto, le ho violentate, non riuscivano a ribellarsi. Erano troppo sconvolte. La paura, soprattutto. E la sorpresa! Chi mai si aspetterebbe, da un ragazzo come me, dall'aspetto così innocuo e benevolo, un simile trattamento? Chi mai si aspetterebbe da un ragazzo apparentemente gentile e giusto tutto questo? Avido ladro, subdolo ingannatore, meschino stupratore. Chi mai se lo aspetterebbe?
Padre, lei è troppo buono ad ascoltarmi, lei è troppo buono a guardarmi con quegli occhi pieni di pietà. Pietà, per me, sì. Per fortuna che non sono tutti come me, degli schifosi bastardi come me.. per fortuna..


mercoledì 25 gennaio 2012

Convalescenza

L'individuo accetta, anche se non sa di accettare.
Torno in possesso delle mie facoltà mentali dopo un po' di tempo condite da una sana voglia di scribacchiare qualcosa.
Le mie solite cazzate del tipo il lavoro debilita l'uomo.
È ciò che penso, in queste giornate nichilistiche che sembrano eterne.
E c'è un confine così sottile che può essere in realtà un abisso nel desiderio di libertà assoluta.
La libertà sta nel pensiero, nell'espressione, quella che ricercano artisti e scrittori.
Perché l'individuo medio accetta, e trova del tutto naturale accettare.
Ma l'individualista pretende, pretende di più.
Se per l'individuo è naturale sottostare a leggi e imposizioni, se per l'individuo è naturale lasciarsi scorrere addosso queste costrizioni e questa vita da schiavo che siamo costretti a subire, per l'individualista è una vera vergogna.
Come possono usurpare le nostre vite, come possono privarci di ogni minima libertà di controllo su di esse?
L'individualista pretende ed è ambizioso, ha l'ambizione di poter fare veramente ciò che vuole.
Il pensatore sa.
Il pensatore sa vedere le sbarre che lo circondano, il pensatore non si lascia trascinare da una muta rassegnazione.
Perché il pensatore in quanto a tale sa.
Sta a noi decidere che ruolo ricoprire, se essere un semplice individuo o un pensatore individualista, che nella sua eterna misantropia e nei suoi atteggiamenti da eterno ragazzino che pone se al centro del suo mondo è avido e bramoso di libertà sconfinata.
La libertà di sfuggire da quella trappola che è un otto capovolto, che è infinita e scorre nelle menti, il cancro vero dell'umanità sta nel suo lasciarsi perfettamente condizionare dalle regole senza chiedersi il perché delle regole.
Perché dobbiamo fare un lavoro che odiamo in un paese che odiamo in mezzo a gente che odiamo sotto un governo che odiamo con delle regole che odiamo.
Perché siamo schiavi dei soldi.
Del lavoro.
Perché se non nasci in un certo paese o in una certa famiglia non potrai mai fare quello che vuoi veramente.
Persino nel farci del male, siamo bloccati. Perché rischiamo anche di fare del male agli altri.
La nostra dignità in quanto essere pensatori consenzienti è un vacuo fantasma, e il nostro libero arbitrio, un luogo comune.
Se non cambierò idea col tempo, rimarrò sempre un'insoddisfatta pessimista oppressa pensatrice.  

venerdì 13 gennaio 2012

Rimandiamo

Se qualcuno qui è di buon umore e l'ultima cosa che vuole è qualcosa che scalfisca esso (ammesso che ne sia in grado con i miei "pensieri mediocri"), non legga. Altrimenti, accomodati pure e sprofonda anche tu in questa melma vorticosa e male odorante. 

As usual, inizio un post dicendo: sono sul treno.
Precisamente il Pisa Centrale, quello che mi molla giù a Brescia ogni mattina per andare a scuola.
Proprio per il fatto che rimanendo sul treno andremmo a Pisa, io e la mia compagna di viaggio, praticamente ogni mattina, partiamo con la domanda retorica: bruciamo, andiamo a Pisa?
Ogni giorno che si presenta come un inferno, o come un peso, arriva quella domanda.
E questo è uno di quei giorni, in cui il mio corpo cammina per un riflesso incondizionato dell'inerzia, e si trascina per quelle azioni meccaniche, con un'energia misteriosa che non proviene dalle ridotte ore di sonno, dove se i sogni si degnano della loro presenza lo fanno per segnarmi la mente con incubi enigmatici.
E arriva la frase: Andiamo a Pisa? Bruciamo?
Restiamo sul treno. Non scendiamo dove scendiamo di solito, ci ribelliamo a questa vita programmata, evitiamo di imporci ruoli forzati che non abbiamo mai scelto, evitiamo le persone che non vorremmo vedere.
No. Non succede niente di tutto questo.
Scappiamo via, lontano, scappiamo.
No. Non succede niente di tutto questo.
-Ma fa freddo però.
Fa freddo, dico io.
-Ho pochi soldi.
Ho pochi soldi, dico io.
-Un'altra volta, dai.
Un'altra volta, dico io.
Rimandiamo.
Scapperò, mi circonderò dell'illusione di essere libera, mi rivolterò contro tutto ciò che non voglio, parlerò io e non l'io che non mi appartiene, un'altra volta.
Un altro giorno.
E oggi, oggi è solo uno dei tanti interminabili giorni. Uno di quelli che vivi e non ti ricordi, che dimenticherai presto, perché è il tuo fantoccio animato quello che gli altri vedono.
Pisa non è la meta della mia vita. Ma ogni volta che si presenta la proposta di una fuga momentanea, la mia mente quasi si accende. Per poco.
E poi
resta in standby.
Più lontano, più lontano. Un posto dove essere felici. Un posto dove imparare ad accettarsi. E ad accettare. Accettare tutto quanto, dove lasciare indietro la muta frustrazione.
Accettare, e non sopportare.
E se fa qualcosa fa male, combatterla e vincerla, senza un tentativo di abituarti.
Dove l'idea di rassegnazione
è così distante
e sconosciuta.
Più lontano di così. Un posto dove non ci sono le orme del tuo cammino, i fantasmi del tuo cuore, le radici del tuo disagio.
Dove essere liberi, e trovare quel calore.
Per sempre, che è una parola infinita, ma di sole sei lettere.  

La tua musica, la senti, ma non con le orecchie. Sentire non è il termine appropriato. Percepire, forse lo è. 

domenica 8 gennaio 2012

Considerazioni eventuali e accidentalmente sintetiche

Il primo momento che ho avuto libero per pensare è stato il viaggio dall'aeroporto ai dintorni dell'hotel. Londra, Inghilterra. E il paesaggio londinese.
Nella tavolozza dei colori a tempera per un ipotetico dipinto ci sarebbero stati: marrone, verde marcio, grigio, beige.
Gli alberi sono completamente spogli, tutto sa di freddo, eppure la natura abbonda.
Nudi delle loro foglie, si ergono prepotentemente in alto come a sfidare la forza di gravità, la cosa più carina è che si possono vedere chiaramente i nidi degli uccellini, ricoperti da un cancello di rami intricati e protettivi.
Le casette sono tutte attaccate, le finestre sono tutte contornate di bianco, sui tetti numerosi caminetti dall'aspetto grazioso.
Nel complesso, un paesaggio decisamente gradevole.
Poi Londra, l'hotel che sembra veramente l'interno di una roulotte, dai pavimenti scricchiolanti in legno che chissà quante persone hanno visto, quante persone sono passate.
Le cabine del telefono rosse, rosse come i bus a due piani tipici del posto, abbazie imponenti e inquietanti, i market insulsi piccoli ed economici.
Eppure, c'è un qualcosa di misterioso che ti porta ad amare tutto questo.
Quando poi mi si presenta agli occhi Picadilly Circus e Trafalgar Square, la mia mente è occupata da un unico pensiero.
Vediamo così spesso le imitazioni delle grandi metropoli ovunque, dai centri commerciali alle piccole città arroganti che vogliono riprodurre questi modelli, che quando incroci una metropoli del genere fai fatica a renderti conto che è vera.
Il cibo? Effettivamente pessimo. Il caffè? Pure. Soldi? Volati.
Ma non riesci a non amare tutto questo. Portobello road di sabato è un suicidio, affollata all'inverosimile, teste pietose di volpi pietose appese accanto a maglioni a 10 pounds, un'insieme di oggetti inutili ma dall'aspetto indubbiamente attraente, e di persone di ogni etnia con storie svariate da raccontare.
Un vecchio tiene sulle spalle un piccolo cane e gli passa del cibo, la mani tatuate di scritte sbiadite col tempo.
Un duo di musicisti dalle fattezze bohémien improvvisano qualche canzone misteriosa tra un contrabbasso e una chitarra acustica, cantando con la voce grattata di chi ha fumato troppo.
I soliti imitatori di statue, una donna dal viso sfiorito dai segni della vecchiaia che si apprestano ad influire canta, una voce armoniosa.
Ed è sola, tra una folla di gente.
C'è chi viene urtato da te ma che ti chiede comunque scusa, c'è chi percorre le scale della metro a sinistra, di fretta perché deve andare al lavoro.
Ci sono le studentesse in gonna a pieghe e camicia, ci sono i ragazzi troppo belli per guardarti anche solo un'istante che leggono libri di 800 pagine sulla metro, isolati da tutto il mondo.
Gli scoiattoli che corrono nei parchi e che si avvicinano per controllare se hai del cibo da offrire loro, non si sa mai.
Tutto ciò che può accadere qui è imprevedibile, non può essere già scritto.
Sarò ripetitiva forse, ma come si fa a non amarla?

lunedì 2 gennaio 2012

Punti di vista che appaiono per un singolo individuo una realtà universale

I libri di filosofia non dicono mai che Nietzsche è impazzito di sifilide.
O che Platone andava con i suoi allievi, con dei ragazzini.
O non troverai sui libri di letteratura che D'Annunzio amava farsi cagare in faccia, trovava una gioia perversa nell'osservare l'ano dilatarsi.
Io non sto dicendo cose oscene, sto parlando di cultura.
La verità è che alla cultura dobbiamo dare un tono solenne e spocchioso, come se non fosse da tutti saperla lunga.
In realtà è così, per avere la cultura è necessario studiare. Leggere, sapere, tutto ciò che richiede impegno e una mente indubbiamente attiva e scattante sull'attenti.
Ma se ci pensi bene, studiare è da tutti. Chiunque, anche il più stupido, se si applica, è in grado di imparare e apprendere e di ripetere a memoria come una macchinetta concetti importantissimi per l'intera umanità.
Ecco che cosa penso spesso e volentieri quando osservo distrattamente compagne o compagni di classe estremamente secchioni, così dicono, tanto da meritarsi una pagella oro invidiabile per chiunque. C'è addirittura chi snobba me considerandomi a priori estremamente stupida perché non vado bene a scuola.
Forse dovremmo rimescolare questo concetto e trasformarlo in: perché in realtà non studio perché non ne ho voglia, o non studio quello che non piace a me.
Pensaci bene, in fondo la cultura è mainstream e quindi alla portata di tutti, tutti possono studiare e imparare a memoria.
Ma la capacità di riflettere e di studiare per il solo piacere di farlo, per il solo piacere di imparare cose nuove e quindi trarne profitto unicamente per sé stessi, è una cosa andata un po' persa.
Non mento se ti dico che se tu mi dessi le stesse identiche cose da studiare e non da studiare per un voto e per la sopravvivenza ma da studiare per me stessa, io lo farei.
In realtà me ne sono resa conto con un cambio di docente di italiano. Tutti i libri che la precedente professoressa ci imponeva (perché questo è il termine esatto) di leggere ora li leggerei più che volentieri, solo per me perché sono io che decido di farlo e io che ho voglia di leggerli.
La dove si va a parare su libertà e su imposizione, la mia mente è contraria ad assecondare la cosa.
È così che il senso di superiorità di chi si considera saccente perché sa fare tre calcoli o perché sa tutta la tavola di Mendlev a memoria non mi tange particolarmente, anche perché sono convinta che c'è un bell'abisso tra intelligenza e conoscenza.
Non sempre le cose sono legate.
Posso sentirmi stupida per molti motivi, mi sento stupida per molti motivi, ma non potrò sentirmi stupida perché non vado bene in matematica o perché non ho studiato per filosofia quella volta.
Conosco molte persone intelligenti che vanno anche bene a scuola, ma non credo minimamente che le cose siano une le conseguenze delle altre, così come conosco geni che sono stati bocciati.
Così come conosco molte persone dedite allo studio che di loro spontanea volontà non aprirebbero mai un libro e non penserebbero mai di approfondire qualche argomento trattato a scuola, perché oltre allo “studio perché devo” non c'è il minimo interesse.
In realtà io so di essere ignorante (so di non sapere; se proprio vogliamo fare i Socrate della situazione), tuttavia leggo perché mi piace, e ho una vasta lista di libri che voglio leggere, e sono fermamente convinta che se qualcuno mi dicesse di leggere uno dei libri che ho in mente per la scuola io lo eviterei di proposito. Sono due concetti così distanti e diversi, che mi chiedo da cosa nasca la presunzione di essere superiori agli altri solo per la semplice conoscenza.
Riflettere ed avere delle proprie opinioni riguardo ad un determinato argomento, che può essere la vita la morte come la cacca e come tutto quello che vuoi, piuttosto, è molto importante. Non farà per forza di te una persona geniale, chiaro, ma in un mondo dove l'unica cosa che non ci hanno ancora proibito è il solo pensare (perché non sono ancora riusciti a farlo), perché non approfittarne?

mercoledì 28 dicembre 2011

Stronzaggine anti-age

Ok. Anche quest'anno il Natale è passato. Le prime cose che mi vengono da dire è che sì, probabilmente sono ingrassata. E che sì, prevedibilmente odio il Natale ma quest'anno l'ho odiato di meno.
Sarà che del Natale sia io che la mia famiglia (credo che sia per questo che nessuno fa un accenno di decorazione da anni, no?) abbiamo sempre odiato il renderlo così pateticamente l'ennesima trovata pubblicitaria per vendere e vendere e vendere, e rifilarci qualsiasi cosa sia spendere spendere spendere.
Ma in tempi di crisi è chiaro come il sole che questo non è più possibile, che quest'anno il cappone sarà più piccolo (non per me, ha ha).
Ecco, questo era il tentativo scrauso di una partenza esilarante per un post pieno di perle di saggezza ma no decisamente no, ok.
In realtà l'argomento che ho appena iniziato non lo riprenderò più quindi ciaociao crisi, piuttosto mi è successo qualcosa di anomalo la sera della vigilia di Natale.
Introduco la cosa accennando al fatto che se c'è una cosa che involontariamente i genitori sono sempre portati a fare è illuderti e farti credere che qualsiasi cosa sgradevole legata alla gente della tua età con gli anni passerà.
 O forse dovrei parlare per me.
Ora, questo concetto utopistico molto nobile può essere smentito con molti esempi di cose successe, uno di questi risale esattamente alla suddetta cena.
Si sa com'è, dovrebbe essere un festeggiamento in famiglia allegro eccetera eccetera. C'è l'obbligo di essere allegri. Di essere felici. Non è così quando ti ritrovi una moglie del padre particolarmente sgradevole che non so per quale motivo ama dipingermi a mio padre come il male oscuro in persona, la degenerazione della mia generazione.
Fatto sta che io ho la mente troppo impegnata per darci peso odiare o disprezzare e queste cose qua, per questo non mi pongo troppi problemi.
Ma nel momento in cui, dopo aver detto ripetutamente di essere vegetariana, ti ritrovi un pezzo di pancetta a tradimento nella zuppa patate e zucca (che cazzo c'entra la pancetta con le patate e la zucca?) inizi a porti alcune domande.
Ci si può non sopportare in silenzio, come fanno tutte le persone, oppure ci si può inviare frecciatine in modo infantile come fanno invece gli adolescenti dagli ormoni sballati.
Ecco, quest'usanza ho sempre pensato per qualche strano motivo si perdesse nel tempo, ma crescendo mi sono sempre più convinta e sempre più resa conto di quanto quest'usanza in soggetti poco considerevoli non muoia mai.
Ora, questo è uno dei tanti casi e potrei reagire in diversi modi ma due sono i principali:
Alla prossima cena dal papà portarsi dietro una scatola con del cibo proprio (perché non è la prima volta che incontro piccoli pezzi di carne infilati con l'astuzia a tradimento).
Continuare a testa alta a far finta di nulla e ignorare soggetti col doppio dei miei anni e con la metà dei miei neuroni (e ce ne vuole).
Il fatto di snobbare una persona più vecchia di te che dovresti tradizionalmente rispettare quindi non è affatto immotivato, se pensi anche soltanto come esempio a quanti professori trovino indispensabile gridare senza motivo e sfogare la propria frustrazione sui più giovani poi la cosa avvalora ancor di più la mia tesi.
In sostanza, quando sarete genitori, non fate lo stesso errore: non dite ai figli che crescendo si matura e che le cose si aggiustano maturando.
Se testa di cazzo sei, testa di cazzo rimarrai.
Indipendentemente.
Con amore.

lunedì 19 dicembre 2011

Quando la ferocia diventa mainstream



Ecco, pensa ad una parola.
Una parola totalmente a caso.
Ad esempio, quelli che ho ora negli occhi.
Capello.
Che cos'è il capello, esattamente? Cellule morte? Quello che noi vogliamo sempre avere al posto giusto e ci ostiniamo a tingere e tagliuzzare o intrecciare in rivoluzionari (più o meno) rasta?
Prova a leggere tutte le seguenti parole:
Capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello capello
Le hai lette tutte?
Non trovi anche tu che la parola capello a furia di essere ripetuta in modo maniacale perda notevolmente di significato e appaia quasi come un accostamento casuale di suoni e di sillabe?
No?
Beh così avviene ogni giorno, solo non per il capello.
Mi è successo sabato, in realtà.
Mi trovo in questo apparentemente normalissimo e ordinario supermercato, gironzolo tra gli scompartimenti in cerca delle batterie per la mia defunta scarica macchina fotografica, chiedo a un commesso dove si trovano e mi indica la strada.
7 euro. Ok, no. Sono povera.
E in tutta tranquillità faccio per uscire, quando all'improvviso rumori strani, di vetro frantumato, e urla agghiaccianti interrompono la mia calma attività.
Mi volto e osservo la scena del commesso di prima che afferra con tutta la forza che ha in corpo quest'uomo non troppo vecchio, mentre le bottiglie di vetro di birra C R A S H dappertutto, e gira e gira l'uomo il ladro il malvivente il criminale, mentre accorrono altri commessi per usare la forza bruta e le prese di judo studiate in passato.
Mentre l'antagonista della situazione emette urla disumane, di disperazione rabbia o non so, le urla di una persona drogata con eccessiva forza in corpo.
Tutti assistono impauriti e sorpresi questa scena, io sono perplessa e non so a cosa pensare.
La commessa carina, quella che nei film drammatici sarà interpretata dall'attrice strafiga spacciata per ragazza semplice acqua e sapone, chiama la polizia.
La scena è un susseguirsi di immagini già viste, stra viste, solo attraverso uno schermo. Avviene tutto molto in fretta, sorprendentemente in fretta.
Poi alla fine non rimane più niente, anche i vetri e il pavimento vengono ripuliti, mentre le vecchie le signore i signori ridacchiano e sdrammatizzano con battutine poco divertenti.
E tutti ridacchiano, e sdrammatizzano.
Esco fuori all'aria aperta e dico a mia mamma al telefono:-Ho appena assistito ad un tentato furto.
Ed anche io, ridacchio e sdrammatizzo. Mi riesce così bene.
Poi mi siedo lì, in un punto poco importante, mi accendo la mia solita cancerosa. Ma nella mia testa rimbombano quei versi selvaggi, disumani, i versi di una persona che non è più una persona ma è ciò che il suo istinto gli suggerisce di fare.
E rimbombano i pugni e i calci e le grida, e mentre le vecchiette ridacchiano, sdrammatizzano, mi chiedo: perché tutto questo?
Sotto le risatine nervose generali e l'immensa felicità di aver vissuto un film nella vita reale, qualcosa di straordinariamente negativamente spettacolare, io mi chiedo: non si rendono conto, forse?
Ridacchiano e no, che hai da ridere?
Vertigini, brividi, nausea: le frecce che mi colpiscono.
E la risposta allora mi giunge nota, come un'illuminazione lontana.
E la risposta è:
Violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza violenza
Non è evidente? Non è chiaro?
Chiamalo mh, lavaggio del cervello, ipnopedia da svegli, come vuoi. Ma questa, sì, proprio questa, è così ordinaria e noiosa che è stata stuprata corrotta manipolata modellata ed ora, ora è all'ordine del giorno.
Cosa è reale, cosa no?
Questo sottile spesso confine baratro non è più noto forse. O è la mia eccessiva empatia, la mia eccessiva sensibilità che non sapevo neanche di possedere o c'è qualcosa che non va in tutto questo.
E se questo è il nobile animo umano, allora beh lasciami dire una cosa:
haha.